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Giovani scrittori tra sogni e realtà. A colloquio con l’autore Christian Raimo, giurato del Premio letterario Energheia

Il Quotidiano – Giovedì 16 settembre

“Chi esprime un potere culturale ha il dovere di cambiare il sistema”

Giovani autori, incontri con scrittori affermati e proiezioni di cortometraggi animeranno la decima edizione del Premio letterario Energheia, ideato dall’omonima associazione culturale materna e in programma da stasera con una serie di iniziative nella città dei Sassi. I vincitori del concorso saranno proclamati durante la serata finale di sabato in Piazza Sedile dalla giuria di esperti, che dovrà scegliere tra tredici finalisti tutti pubblicati nell’antologia “I racconti di Energheia”.
Componente della giuria Christian Raimo, scrittore e traduttore di Bukowski e Foster Fallace per Minimum Fax, con il quale abbiamo parlato di letteratura, mercato e prospettive del settore.
Lei ha pubblicato la raccolta di racconti “Latte” e “Dov’eri tu quando le stelle del mattino gioivano in coro?” (Minimum fax 2001 è 2004), ma sta anche dall’altra parte come editor. Parlando dalle due anime dello scrittore e del redattore, che idea si è fatto del panorama italiano degli esordienti? Non ce ne sono un po’ troppi, tra pubblicati e cestinati?
“Credo che il discrimine tra pubblicato e non pubblicato si sia trasformato in una zona grigia, dove, su un numero di circa 1500 manoscritti all’anno pervenuti ad una casa editrice, la qualità è ovviamente discontinua. Tutti possiedono un pc con un programma di scrittura e una stampante: il mestiere di scrivere è molto meno impegnativo rispetto al passato e ci sono condizioni più favorevoli per tentare questa strada. Ritengo che il valore dei testi, non sempre all’altezza, dipenda anche dall’attuale assenza di garanti della qualità letteraria, che una volta erano l’università e la critica. Entrambi, oggi, sanno ben poco di letteratura, e, purtroppo, l’unico crisma di autorevolezza lo dà il mercato. Il risultato è che, se penso ad autori esordienti italiani del 2003, onestamente non mi viene in testa nessun nome”.
In compenso, ci sono best-seller lontani dal talento letterario, come quello di un’adolescente che, spazzolandosi i capelli, millanta avventure erotiche…
“Non sarà l’ultimo caso. Esisterà sempre la ragazzina che parla di orge, o quella che abita in una casa sgarrupata e racconta le sue disgrazie. Ma di libri interessanti, l’anno scorso, non ne ricordo, e mi dispiace, perché in Italia i giovani scrittori bravi ci sono. Solo che non hanno la possibilità di lavorare: per scrivere un buon romanzo serve almeno un anno e mezzo di dedizione totale, e con l’anticipo delle case editrici – quello delle più grandi non supera i diecimila euro – non si mangia per due anni. Va detto, comunque, che non sempre la pubblicazione, magari per un grosso editore, garantisce lettori. Se qualcuno scrive su un blog ed è letto da migliaia di persone, ha già raggiunto l’obiettivo, e le piccole iniziative, anche locali, come il premio Energheia, offrono una vetrina più importante di quel che si pensi. Insieme a Nicola Lagioia, sto curando una raccolta di narrativa indipendente con autori, apparsi su riviste e in Internet, e la qualità è davvero molto alta”.
Nelle sue lezioni di scrittura creativa, Carter amava incoraggiare anche gli allievi meno dotati, nella convinzione che, ad un esordiente, una parola buona faccia più bene di una stroncatura. Lei è d’accordo?
“Penso che il talento sia questione di applicazione, e non dissuaderei nessuno nell’aspirazione a scrivere. Non mi sento in grado di dire a qualcuno che non ha talento e deve lasciar perdere. E’ anche vero, però, che in questo mestiere, bisogna farsi amici dei propri limiti. La più grande intelligenza di uno scrittore è circondarsi di persone migliori di lui ed imparare da loro. Personalmente lo faccio leggendo generi diversi e studiandoli. Dunque, sono d’accordo con Carter. Ma credo anche che, per un giovane scrittore, sia meglio ricevere un rifiuto sensato che essere mandato allo sbaraglio e fallire dopo”.
Lavorando per una casa editrice, cosa pensa dell’iniziativa del collettivo Wu Ming contro il copyright?
“Il mercato dell’editoria italiana è uno dei più poveri: chi fa l’editore di solito ha già una solidità economica alle spalle, e di conseguenza, si creano egemonie e agli altri rimangono pochi spazi. Chi riesce ad esprimere un potere culturale, ha il dovere di esercitarlo intervenendo per cambiare le regole sbagliate de sistema. Il Wu Ming fa benissimo con le campagne sul copy-right e la carta riciclata. Da parte mia, cerco di essere coerente con le mie idee, e ad esempio, non pubblicherei mai per Mondadori: trovo assurdo che la maggiore casa editrice italiana sia di proprietà della famiglia del presidente del consiglio”.
Il mercato editoriale straniero, sul quale ironizza simpaticamente Will Ferguson nel divertente romanzo Felicità@, è basato su uno strapotere dei redattori, capaci di tirare fuori da uan “pigna purulenta” di dattiloscritti un romanzo di successo, completamente riscritto. In qualche casa editrice italiana, accade lo stesso?
“Il mercato anglofobo è una vera e propria industria, con un livello artigianale minimo buono e scrittori che approdano già da professionisti, dopo una formazione specialistica. E’ chiaro che la lingua e lo stile risultano perfetti, anche se il prezzo da pagare è l’omogeneizzazione degli autori, abili a scrivere romanzi classici o gialli, ma meno di esprimere le urgenze, perché vicono un rapporto di tipo letterario con la realtà. In Italia, invece, c’è poca professionalità del settore, ma si sperimenta molto, e la letteratura riesce a parlare di attualità. Una cosa di cui, nella situazione politica e internazionale che viviamo, c’è assoluto bisogno”.
A proposito di sperimentazione, ama gli scrittori monotematici, o quelli che si confrontano con generi diversi?
“Chi ha talento non deve sprecarlo, e deve avere l’ambizione di mettersi alla prova. Mi piace lo scrittore che non gioca al risparmio e impara a fare cose diverse. Non apprezzo chi collauda una formula e, per compiacenza ai lettori, si accontenta di proporsi sempre nello stesso modo”.

(nella foto_Christian Raimo con Carmen Lasorella)